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Chiesa dell’Annunziata

L’antica chiesetta dell’Annunziata sorge nel Borgo, di fronte alla strada centrale che porta al Cassero, un tempo porta principale di ingresso alla città. Fu costruita quando la sede dell’Università di Bologna venne trasferita per la seconda volta a Castel San Pietro Terme, nel 1338, proprio per servire gli studenti universitari. Alle spese di edificazione concorse Taddeo Pepoli, Signore di Bologna, che era comunque il responsabile del trasferimento essendo lui l’oggetto e la causa dell’interdetto papale. La chiesa venne dedicata all’Annunciazione alla Madonna (o alla Madonna Annunziata). La chiesa presenta una navata unica con due cappelle laterali, realizzate con il patrocinio delle famiglie Morelli e Boldrini nel 1498 e nel 1564.

Dalla fine del 1500 la chiesa è il luogo di sosta e pernottamento della Madonna di Poggio nella sua trasferta annuale a Castello

Al suo interno ospita momenti di pietà popolare, come la preghiera del Rosario e, nel periodo di Natale, anche un presepe che fa parte della “strada dei presepi”, immaginaria via della natività che si snoda per il centro storico castellano sino ad arrivare in alcune frazioni.

Sulla parete esterna una bella lapide ricorda la sosta il 2 aprile 1814 del papa Pio VII di ritorno dalla prigionia napoleonica in Francia.

Durante scavi urbanistici si rinvennero in via San Pietro i resti archeologici di una basilica paleocristiana dedicata ai Santi Pietro e Paolo, da cui probabilmente prese il nome la città. Si tratta di una delle più antiche basiliche della regione; oggi si conservano i muri del perimetro e le basi delle colonne della navata.

La Torre e il Cassero della porta sono il monumento simbolo della città, che ne sancisce ufficialmente la nascita nel 1199 come baluardo di difesa del territorio di Bologna, come ricordato nella lapide infissa sulle sue pietre.  La torre era in origine più bassa, simile a quelle della cinta dei Torresotti delle porte di Bologna, probabilmente alla fine del 1200 fu elevata per assolvere alla funzione di vedetta e segnalazione.

Il Cassero, sede della sorveglianza della porta e dei meccanismi del ponte levatoio, forse è dapprima realizzato in legno e poi trasformato più e più volte secondo le esigenze militari delle milizie che, secolo dopo secolo, lo conquistarono ed utilizzarono come avamposto di difesa principale contro i nemici. Nei primi anni del Cinquecento, quando Bologna e Imola passano sotto lo Stato Pontificio, il Cassero perde definitivamente la connotazione militare.
Attorno al 1748 essendo stati fatti lavori per rifare il coperto (forse trasformando il coperto a terrazzo in uno a due falde) si ottiene un ambiente molto ampio ed alto.  Si decide di utilizzarlo come locale per “pubblici trattenimenti”.

E’ l’inizio della sua destinazione a Teatro, che sarà modificato e ampliato nel 1830, strutturandolo coi palchi come i teatri dell’epoca.
Nel 1780, a seguito della concessione in enfiteusi  al Comune da parte del conte Malvasia della torre e annessi , viene aperto l’attuale passaggio sotto la torre. Durante la prima Guerra Mondiale il Cassero viene usato come alloggio militare. Nel 1916 è colpito da un fulmine e nuovamente ristrutturato ed usato come sala per proiezioni cinematografiche, riunioni, convegni. Nel 1964 viene riaperta l’antico passaggio, ad arco gotico, prospiciente l’antico ponte levatoio. Dal 2008 una nuova ristrutturazione lo ha riportato all’antico uso di teatro.
Nel 1842 la torre viene dotata di una nuova  e più grande cella campanaria e nel 1784 di un orologio, che dopo pochi anni, nel 1797, occorrerà cambiarlo per passare dall’”ora italiana” all’”ora francese”.

Un aneddoto. Forse per la presenza di un importante teatro, Alfredo Testoni dedica a Castello un episodio ironico e divertente nella rivista “Ehi ch’al scusa!!!”: “Si vuole ricreare l’atmosfera di una giornata di fiera, in agosto, lo sfolgorio delle toelette, i vestiti del tempo… Tra i giovanotti che si fanno sotto c’è un certo Ughetto Federzoni, con abito di flanellone, colletto alla Falstaff e le scarpe di un bulgaro(?). Per farle vedere meglio tiene i pantaloni un po’ arrotolati. Alla sua innamorata, detta Tisein La Pallida, bisbiglia A j’o la fira in bisacca, che vorrebbe dire Ho in tasca il regalino comprato in fiera, ma Tisein risponde, Va bein, dop Mèssa.

Delle vecchie mura e delle strutture difensive che circondavano il paese, costruite in sostituzione del fossato con palizzata che inizialmente definivano il castrum, oggi rimangono solamente poche testimonianze storiche. Fra i resti odierni della cinta muraria vi è il torrione situato a est del Cassero, in piazza Garibaldi, ultimo vero bastione della città eretto nel 1452, forse su disegno di A. Fioravanti, con forma poligonale secondo le nuove teorie di architettura bellica e militare che tengono conto della potenza dei cannoni. I resti di un altro torrione sono situati nell’angolo sud-est della cortina muraria, nella cosiddetta Montagnola.

Edificio nobile della seconda metà del Cinquecento, già documentato da Danti nei suoi disegni del 1578, Palazzo Malvezzi risulta essere incompiuto. Proprietà prima della famiglia Legnani, dunque della Malvezzi, attuale proprietaria. Ubicato sulle prime propaggini collinari, lungo il torrente Quaderna, il palazzo era in origine circondato da un grande parco con giardini ai quali si accedeva da quattro cavedagnoni che si incrociavano davanti alla villa, caratteristica tipica del Rinascimento italiano. La palazzina caratterizza una porzione di territorio che conserva ancora oggi rilevanti aspetti del tipico e storico paesaggio bolognese.

La famiglia Malvezzi. Di origine feudale, la famiglia fu tra le prime che si reinserirono nella nuova feudalità di Castel San Pietro Terme, ricevendo nel 1455 l’investitura della Contea della Selva e nel 1458 quella della Contea, poi Marchesato, di Castel Guelfo. I Malvezzi contrassero sempre cospicui parentadi e, all’estinzione della famiglia senatoria bolognese Campeggi, un ramo ne ereditò, con il nome, il feudo di Dozza con titolo marchionale.

L’attuale piazza XX Settembre, così nominata per ricordare la breccia di Porta Pia che ha sancito l’annessione di Roma al Regno d’Italia nel 1870, deriva dalla necessità del Comune di Bologna di rafforzare le proprie difese nel contado in seguito alla cacciate di Romeo Pepoli nel 1321 ed al suo tentativo di ritorno l’anno successivo. Per Castel S. Pietro si decide la costruzione di una Rocca sul lato delle mura verso Bologna.  A questo scopo vengono demoliti gli isolati del quadrante nord-ovest  tra la via di Mezzo e la via Maggiore per creare il fossato  e lo spazio aperto verso l’abitato.

All’inizio del 1600 essendo la rocca abbandonata e ormai ridotta ad un rudere, venne venduta l’area per la costruzione di abitazioni.  L’area prospicente però è ancora allo stato naturale, solo nel 1760 viene livellata e “seliciata” assumendo l’aspetto attuale.

Tra il 1845 e il 1859 al posto delle abitazioni viene costruita la nuova Residenza della Comunità,  l’attuale municipio, su disegno neo classico di Marco Manini. L’edificio è decorato al centro con un bugnato basso e coronato in alto da un timpano con lo stemma della città (un leone rampante che sostiene una bandiera con la scritta “Libertas”, parola presente anche in altri Comuni di Bologna a significare che Bologna stessa fu la prima città in Italia a liberare i servi della gleba pagando un riscatto anche per donne e bambini). Sulla facciata ospita le lapidi in memoria dei caduti in guerra. Al centro della piazza si erge la colonna ionica con la statua della Madonna del Rosario, ornamento religioso ex-voto innalzato in seguito al terribile terremoto del 1779 e realizzato su disegno di Gian Giacomo Dotti. Si narra che, grazie al buon senso dell’arciprete Don Bartolomeo Calisti, la popolazione si rifugiò in piazza anziché in chiesa, come era invece consuetudine al tempo. La Sacra immagine della Madonna del Rosario attorno alla quale si strinse la folla, fu collocata nella piazza principale della città. Il terremoto causò ingenti danni ma nessuna vittima. Per lo scampato pericolo i castellani decisero di elevare la Madonna del Rosario a patrona del paese e di innalzare la colonna votiva al centro della piazza che li aveva accolti e salvati. Alla sommità della colonna, fu posta una statua della Madonna, che fu “scoperta” il primo settembre 1784. Nel 1825 la scultura originale, una statua in terracotta del noto artista forlivese Luigi Acquisti, venne sostituita con l’attuale opera in marmo di Fossombrone. L’aspetto attuale della piazza è quello realizzato nel 2002 con i lavori di ristrutturazione e la nuova pavimentazione. Il Patrono di Castel San Pietro Terme si festeggia il 7 ottobre, come decretato dal Consiglio Municipale del 1779.

Un aneddoto: si racconta che nel XVII secolo era consuetudine ogni anno per il primo maggio mettere in mostra sotto al portico del vecchio comune (quello antecedente l’odierno palazzo) una bella ragazza castellana insignita del titolo provvisorio di contessa. Tutti i passanti dovevano renderle omaggio ed offrirle doni e fiori; i forestieri ignari o non interessati alla strana usanza venivano sottoposti a “legnate” da parte dei castellani (aneddoto raccontato in Passeggiate Bolognesi di F.Raffaelli – Newton Compton editori).

L’edificio ha origine insieme al primo nucleo del castello fortificato di Castel San Pietro Terme ordinato da Bologna in difesa della propria pace ed autonomia, nel 1199.
Fino alla realizzazione del nuovo ed attuale Municipio,  qui avevano sede il Consiglio della Comunità, i magistrati della Podesteria e del  Tribunale per le questioni locali. Nel tempo l’edificio, oggi inglobato ai palazzi che costeggiano via Matteotti, ha subito diversi interventi ma conserva ancora integra ed originale la facciata esterna.

La torretta con l’orologio è del 1754, disegnata da Gian Giacomo Dotti. Nella nicchia centrale è posta una statua in terracotta della Annunziata. L’opera fu attuata in pochi mesi perché il precedente orologio, che funzionava anche come campana per gli avvisi della Comunità e che si trovava aderente alla parocchiale in angolo con la facciata, rivolto a Nord, era stato fatto crollare  su suggerimento del parroco approffitando dei lavori per la ristrutturazione della chiesa. Dopo l’unità d’Italia qui hanno sede gli uffici decentrati della sotto Prefettura del Circondario Imolese, tra questi il carcere locale  almeno fino ai primi anni 20’.

Successivamente i locali sono utilizzati ad uso civile come abitazioni e negozi, famosa la gelateria Ancarani.

Nel 1974 l’edificio viene ristrutturato e in parte restaurato per destinarlo a precedente sede della Biblioteca Comunale e,al piano terra, come sala per esposizioni.

La chiesa e oratorio fu eretta nel 1741 dalla Compagnia del Santissimo Sacramento, in esso fu trasferito anche un Crocifisso, custodito nel vecchio oratorio, che il sacerdote battista Antonio Comelli aveva donato nel 1543.

Nel 1749, la venerazione di una vecchietta per questa immagine  trascurata, fece sì che si decidesse  di procedere alla sua pulizia e restauro. Qui avvenne il miracolo, la statua “rifiutò” di farsi toccare da mani non consacrate. Da allora la chiesa è diventata il Santuario del Miracoloso Crocefisso.

Dal 1629, ogni quinta domenica di Quaresima, si tiene nel santuario la festa del Crocifisso che ogni anno richiama migliaia di fedeli. Negli anni il santuario è diventato anche luogo di conservazione di reliquie sacre. Al suo interno ospita diversi dipinti ed altorilievi di notevole pregio; nella sacrestia è conservato un prezioso gruppo della Pietà realizzato in terracotta.
Nel 1924  la chiesa si amplia verso la piazza con la costruzione del pronao. L’annesso campanile, che sostituisce quello settecentesco a vela,  è stato infatti costruito tra il 1926 e il 1930; sopra i finestroni, in cartigli di foggia barocca, si legge “Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat”.

Il campanile ospita al suo interno un particolarissimo carillon voluto dal canonico don Roberto Salieri, progettato e costruito dal castellano Giulio Gollini e costituito da 55 campane di dimensione diversa (la più grande pesa 11 quintali) realizzate dalla Fonderia Brighenti di Bologna e collocate a vari livelli che vengono suonate con uno speciale organo a tastiera creato appositamente dal mastro Gollini. Inizialmente inaugurato con 33 campane, nel 1930, insieme al campanile che lo ospita, in 4 anni vennero aggiunte al carillon altre 22 campane. La sua tastiera, tipica del pianoforte e posta alla base del campanile, aziona i martinetti delle campane grazie ad un meccanismo elettropneumatico e permette così l’emissione dei suoni armonici e suggestivi delle campane abbinate ai tasti. Grazie alle 55 campane il carillon castellano è di fatto il più grande carillon in Italia ma anche, per via della tastiera, uno strumento unico in Europa, ancora oggi utilizzato prima delle SS. Messe celebrate nel santuario per le festività religiose solenni ma anche una tantum per suggestivi concerti.

La Chiesa di Santa Maria Maggiore risale ai primi anni della nascita del castello fortificato di Castel San Pietro Terme, intorno all’anno 1200. Si narra infatti che le sue fondamenta furono gettate insieme a quelle del Cassero. Anche il campanile è originale.

Nel 1649 fu costruita sul fianco sinistro della chiesa la cappella della Madonna del Rosario, patrona dal 1779 della città. L’aspetto attuale dell’interno è dovuto all’intervento negli anni 1752-57 dell’architetto bolognese  Alfonso Torregiani  che alzò la copertura, allungò l’abside, occupando una parte della strada retrostante, ma soprattutto cambiò la decorazione interna . Del 1766 è la magnifica cancellata in ferro battuto e ottone della Capella del Rosario. Del 1758 è il “Martirio di S. Vincenzo” del Sansone offerto dall’arte dei gargiolari, del 1759 è la tela sull’altare maggiore rappresentante la “Vergine Assunta con Santi” di Ubaldo Gandolfi. Alla destra dell’abside è il quadro , dei primi anni del 1600, della disputa di S. Caterina del Cavazzoni, proveniente dalla soppressa chiesa di S. Caterina.

La veste quattrocentesca della facciata, recuperata con un intervento di ristrutturazione del 1942, è dovuta alla prima civiltà rinascimentale che a Bologna si sviluppò all’ombra della signoria bentivolesca. Nelle forme del portale vi è testimonianza della diffusione in provincia degli schemi artistici elaborati a Bologna. Il portale, infatti, per il suo aspetto si può datare agli ultimi vent’anni del Quattrocento, quando a Bologna sorgevano i portali del Corpus Domini e di palazzo Bevilacqua. È ornato dei calchi di quattro statuette in terracotta (Cristo in passione, Madonna con bambino e due angeli) i cui pezzi originali si trovano all’interno, nella controfacciata.

Castel S. Pietro era una città murata, dapprima con un semplice terrapieno ottenuto riportando la terra scavata nel fossato e una palizzata, sucessivamente con una mura che , anche quando ormai nel XVI secolo, erano cessate le necessità difensive , fu continuamente mantenuta e riparata. L’accesso era, da un ponte levatoio, dalla porta difesa dalla Torre e dal Cassero. Una altra porta era dalla parte opposta del Castrum, al termine della strada Major , era chiamata porta Liana o Montanara ed era normalmente chiusa, un decreto del 1510 la fa aprire nei giorni di mercato.

Altri accessi furono aperti successivamente, nel 1673 nelle mura  orientali ad uso dei frati minori osservanti del convento e chiesa di S. Francesco, che poi divenne di uso pubblico. Un’altra porta, Porta Nuova, fu aperta nella seconda metà del 1700, di fianco al Cassero per accedere a Via de’ Pistrini, ora Via U. Bassi.

Fino alla fine del 1800 Castello era ancora chiuso entro le mura, anche se nel lato orientale le case delle famiglie nobili Malvasia e Locatelli, il convento dei frati, la fornace di pignatte avevano demolite le mura e occupato il terrapieno. Nel 1913 viene abbattuta la mura a sud ovest verso Piazza V. Veneto e aperta l’attuale via Manzoni  e decisa l’apertura della Via S. Martino nella parte nord. Solo nel 1925 si aprono le vie Palestro e S. Martino a sud.

Attualmente della cinta muraria resta quasi tutta la parte occidentale, anche se in cattive condizioni, la parte che esisteva  ancora nell’angolo nord est è stata demolita dopo la guerra.